Il piano bar è ormai considerato come un ibrido mal riuscito della musica dal vivo “seria”, di qualità. Ciò si percepisce sia nell’ambiente dei musicisti, non solo professionisti, ma anche tra gli amanti della musica o tra coloro che, come me, fanno della musica una sbiadita seconda professione.
La tastiera arranger – compagna perfetta per il piano bar
Oggi il piano bar è percepito come un vago residuo di un modo di fare musica diffusosi a partire dagli anni 80 e forse anche prima, quando, in locali e localini era abitudine trascorrere una gradevole serata, mentre in sottofondo si esibivano piccole formazioni tuttofare.
Questi artisti, quasi sempre ignorati dal pubblico poco attento e poco partecipe, si cimentavano in repertori vari che andavano dallo swing melodico ai brani nazional-popolari del momento; ma la svalutazione del piano bar si realizzò definitivamente dopo che si diffusero le tastiere arranger, perfette per musicisti “one man band”, che da soli potevano da quel momento “tirarsi” una serata, sfruttando gli stili di accompagnamento di queste innovative tastiere miracolose.
Questi strumenti, da soli, permettevano di simulare un accompagnamento completo con basso, batteria, pads, pianoforti, strumenti solistici vari. Miracoli della tecnologia che inebriarono milioni di tastieristi, me compreso, che allora ero solo un ragazzino alle prime armi, estasiato da questo modo di fare musica e dalle possibilità di questi strumenti.

La tastiera arranger – i colossi del settore
Inizialmente e per un bel periodo tutto fu perfetto: sul mercato venivano lanciate, da brand diversi quali Roland, Korg, Solton, solo per citarne alcuni, macchine sempre più complete, ricche e timbricamente evolute.
Con esse infatti era possibile, per ogni brano, trovare uno style di accompagnamento adeguato, adattabile al brano e all’interpretazione che se ne volesse dare. Il musicista poteva eseguirlo dirigendone l’armonia, mediante il cambio degli accordi con la mano sinistra, mentre con la destra, utilizzando lo “split” della tastiera, suonava le parti soliste o un ulteriore accompagnamento, sfruttando i suoni in dotazione di piano, organi, brass ecc, caricati a bordo della tastiera.
Tecnica e competenza applicate allo strumento
Questo modo di suonare, apparentemente facile e banale – visto che la tastiera “suona da sola” – è tutt’altro che semplice ed immediato, poiché implica una buona dose di studio e svariate attitudini artistiche quali abilità, sveltezza, capacità di adattamento, preparazione, un lavoro accurato di scelta degli styles e dei suoni e una capacita multitasking di gestire dal vivo (quindi sul momento) tutti i parametri del caso. Ne cito alcuni: cambiare accordi, inserire i feel, selezionare suoni e variazioni in base ai cambi di intensità del brano e alle alternanze tra strofe, ritornelli, bridge, fasi di climax e anticlimax del pezzo.
Tutte cose non proprio facili e che dimostrano che in realtà queste tastiere non suonano affatto sole se a dirigerle non vi è un musicista esperto che sa il fatto suo. Pero qualcosa cambiò …
Questa modalità di fare musica cambiò progressivamente a causa dell’uso massiccio delle tecnologie di comodo, presenti nelle arranger, che pian piano si svilupparono. In primis fu la presenza dei floppy contenenti le basi midi delle canzoni preconfezionate e pronte all’uso, poi la possibilità di collegare queste macchine a proiettori esterni, per visualizzare anche i testi delle basi karaoke caricate nella memoria.
L’arranger sostituisce il musicista
Queste evoluzioni hanno col tempo annientato, sminuito, ridicolizzato e svalutato un modo professionale e assolutamente dignitoso di “fare musica” live nei locali. Da quel momento tutti hanno vergognosamente potuto accaparrarsi serate, “suonare dal vivo” e guadagnare denaro solamente limitandosi a cantare – a volte neanche accettabilmente bene – ma di suonare live a quel punto non se ne parlava nemmeno.
Pian piano, a cavallo degli anni 2000, si diffuse l’idea che fare piano bar non fosse suonare, che le tastiere suonassero sole, che il musicista in realtà fosse più o meno come un dj che in più canta su delle basi già belle e pronte. E ahimè, quest’idea ormai era corretta!

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La dignità artistica del piano bar e le arranger moderne
In realtà invece il piano bar, se suonato realmente, sfruttando l’enorme qualità e le fantastiche potenzialità delle arranger di oggi, può davvero rappresentare ancora un approccio valido, di gusto, di tutto rispetto ed altamente professionale per fare musica, da soli o in formazioni ristrette.
Sono esempi di arranger moderne le ammiraglie Korg pa4x, pa5x, la Yamaha Genos e la precedente serie Tyros, le Ketron sd9 e l’ultima arrivata Event, ma anche le sorelline più piccole, che nonostante siano decisamente più alla portata di tasche meno gonfie, sono assolutamente da considerarsi strumenti professionali, completi e di tutto rispetto, come Korg pa700 e pa1000, Yamaha psr sx700 ed sx900.

Con questi strumenti è possibile proporre piano bar di qualità, facendolo davvero, live, suonando realmente dalla prima all’ultima nota e presentando un prodotto artistico inedito ed unico, nonostante l’utilizzo di “pacchetti preimpostati”, come l’uso degli styles di fabbrica sembrerebbe suggerire.
Questo perché è possibile, tra l’altro, adattare e modificare tutti i parametri di uno style e utilizzarlo in maniera personalizzata per i brani che si intende suonare, anche allontanandosi, se è il caso, dall’idea originale del brano stesso.
Quindi auguro a me e a tutti gli appassionati del vero piano bar di continuare a coltivare questa passione e spingerne il ritorno, ma un ritorno di qualità, per riportarlo nuovamente nei contesti live che merita.
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